Gli auguri del nostro vescovo


Cercare il Bambino con passione e per amore

Buon Natale, amici miei. Buon Natale a tutti.
In questi giorni chissà quante volte, e non solo a parenti ed amici, augureremo “Buon Natale”. Ma chi festeggerà l’autentico Natale? si domandava Bonhoeffer, il teologo e pastore luterano ucciso a Flossenbürg il 9 aprile 1945, all’età di 39 anni. “Chi, alla mangiatoia, depone finalmente ogni violenza, ogni onore, ogni reputazione, ogni vanità, ogni superbia, ogni ostinazione, chi sta dalla parte degli umili e lascia Dio solo essere grande” (Meditazioni sul Natale).
Nell’anno dedicato al tema “Educhiamoci alla verità”, chiediamoci se il nostro augurio è “vero”, e qual è il contenuto del nostro augurio.
Nell’introduzione al piano pastorale, vi scrivevo che l’avventura dei Magi offre indicazioni importanti per chi cerca la verità: il cammino è difficile e faticoso, occorre la sinergia tra ragione e fede, bisogna essere umili.
Come ogni anno, “ritagliatevi” un po’ di tempo e, riuniti davanti al presepe, meditate su una pagina della Bibbia. Prendete il vangelo di Matteo. Uno di voi legga lentamente il capitolo 2, dal versetto 1 al versetto 12. Fate quindi una pausa di silenzio. Chiedetevi poi qual è il significato del racconto e che cosa vuole dire a ciascuno voi; comunicatevi le “risonanze” che il testo suscita nella vostra mente, nel vostro cuore e nella vostra vita. Concludete con una preghiera recitata o cantata.
Con questa lettera vorrei essere accanto a voi per condividere due semplici riflessioni.
Se vogliamo incontrare il Bambino che è nato a Betlemme, dobbiamo cercarlo con sincerità e amore. I Magi sanno che è nato il re dei Giudei, ma non sanno dove. Guidati dalla stella arrivano a Gerusalemme e chiedono informazioni ad Erode, che si turba perché teme di essere spodestato. I capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo gli dicono che il luogo della nascita è Betlemme. Chiama quindi “segretamente” (perché segretamente? che cosa teme? che cosa vuole fare?) i Magi e li indirizza a Betlemme dicendo: “Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo”. È bugiardo ed ipocrita! È interessato al Bambino, ma non per amore; vuole trovarlo, ma non per adorarlo. Egli vuole ucciderlo. In realtà non troverà il Bambino!
Non è possibile celebrare e vivere il Natale, se non si è mossi dall’amore per Gesù.
Per incontrare veramente il Bambino dobbiamo lasciarci coinvolgere dalla sua storia. I capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo sanno tutto di Lui, ma non lo cercano perché non sono interessati a Lui. Quando Erode li riunisce per avere le informazioni sul luogo della Sua nascita, sono in grado di dargli la risposta esatta perché conoscono bene la Bibbia e (anche se con due sfumature diverse, annota papa Benedetto nel suo ultimo libro L’infanzia di Gesù ) gli citano i relativi testi: “così è stato scritto per mezzo del profeta: E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”. Sanno del Bambino, sanno che egli è “un capo che sarà il pastore del popolo”, ma non si muovono, non si mettono in cammino. Quella nascita non li riguarda!
Non basta conoscere la Bibbia, studiare la figura di Gesù, cercare la verità sui libri. Occorre innamorarsi di quel Bambino, lasciarsi afferrare da Lui e dal suo amore senza limiti. Solo allora ci si metterà in cammino, anche affrontando difficoltà e disagi, per “vederlo” e “adorarlo”, perché Lui ci è necessario.
Augurare buon Natale vuol dire comunicare la gioia di avere cercato e incontrato Gesù, desiderare che anche i destinatari dell’augurio lo cerchino e lo trovino con passione e per amore.
A Natale, la nostra comunità diocesana rivolge un pensiero particolare al seminario, che oggi accoglie sei giovani (cinque a Ragusa e uno a Pavia) guidati dal nuovo rettore, il sac. Giuseppe Antoci. Vi chiedo di pregare per loro, mentre insieme supplichiamo il Signore perché mandi operai nella sua messe.
Buon Natale, amici miei. Buon Natale a tutti.

Ragusa, Natale 2012
                                                                 + Paolo, vescovo

Auguri di Buona Natale!



Sono nato nudo, dice Dio,
Affinché tu sappia spogliarti di te stesso.
Sono nato povero, 
Affinché tu possa considerarmi l'unica ricchezza.
Sono nato in una stalla, 
Affinché tu impari a santificare ogni ambiente.
Sono nato debole, dice Dio,
Affinché tu non abbia mai paura di me.
Sono nato per amore,
Affinché tu non dubiti mai del mio amore.
Sono nato di notte,
Affinché tu creda che posso illuminare qualsiasi realtà.
Sono nato persona, dice Dio,
Affinché tu non abbia mai a vergognarti di essere te stesso.
Sono nato uomo,
Affinché tu possa essere "dio".
Sono nato perseguitato,
Affinché tu sappia accettare le difficoltà.
Sono nato nella semplicità,
Affinché tu smetta di essere complicato.
Sono nato nella tua vita, dice Dio,
Per portare tutti alla casa del Padre. 
                                                                    
                                            (Lambert Noben)

Santo Stefano

Le tappe principali della vita di Stefano ci vengono narrate negli Atti degli Apostoli. Qualche tempo dopo la Pentecoste, sorsero dei dissidi fra gli ebrei di lingua greca e quelli di lingua ebraica, perché secondo i primi, nell’assistenza quotidiana, le loro vedove venivano trascurate. Allora i dodici apostoli, riunirono i discepoli dicendo loro che avrebbero dovuto servire alle mense mentre costoro si sarebbero dedicati solo alla predicazione della Parola di Dio e alla preghiera. Vennero eletti, infatti, sette diaconi tra cui Stefano, il quale pieno di grazia e di fortezza, cominciò a compiere prodigi tra il popolo. Nel 33 o 34, gli ebrei ellenistici vedendo il gran numero di convertiti accusarono Stefano di pronunziare espressioni blasfeme contro Mosè e contro Dio. Fu trascinato davanti al Sinedrio e  accusato ingiustamente, allora Stefano pronunziò un discorso in cui ripercorse la Sacra Scrittura dove si testimoniava che il Signore aveva preparato, per mezzo dei patriarchi e profeti, l’avvento del Giusto, ma gli Ebrei avevano risposto sempre con durezza di cuore. I presenti si scagliarono su di lui e lo lapidarono. Mentre il giovane diacono crollava insanguinato, pregava e diceva: “Signore Gesù, accogli il mio spirito”, “Signore non imputare loro questo peccato”, proprio come disse nostro Signore Gesù Cristo prima di spirare.

Primo incontro diocesano sull'adorazione eucaristica



Serenità e gioia hanno caratterizzato il primo incontro diocesano degli adoratori Gesù Eucaristia di Ragusa, Vittoria e Comiso, tenutosi  domenica 16 dicembre presso la Villa Orchidea. Il convegno, presieduto da sua Eccellenza il vescovo monsignor Paolo Urso, ha sottolineato, con la sua atmosfera, la liturgia di festa propria della terza domenica d’Avvento. Ai circa seicento intervenuti alla manifestazione, sua Eccellenza, nel rivolgere il proprio saluto e l’affettuoso plauso per il fiume di grazia che l’adorazione perpetua, fa si che si riversi nella chiesa e nel territorio, ha ricordato quanto preziosa sia la risposta dell’uomo all’amore folle che Dio ha per la sua creatura. Una delle forme più tangibili e ricche di benefici per l’umanità è appunto l’adorazione di Gesù Eucaristia. Tale pratica è: silenziosa adesione della creatura all’amore del suo Creatore, spiega il nostro pastore, che facendo riferimento all’origine della Parola, essa esprime: riconoscimento della Maestà di Gesù Cristo nella radice greca e il bacio, l’incontro intimo e rigenerante nella versione latina. L’adorazione in spirito e verità richiamata da sua Eccellenza in riferimento al vangelo di Giovanni, (Gv,4,23) si realizza nei fedeli solo quando la pratica religiosa pervade e trasforma tutta la loro vita perché vivificata dallo Spirito Santo in adesione alla Parola di Cristo Verità.
Il gruppo giovani con la coreografia la “samaritana” e la corale della comunità “Eccomi manda me” hanno preparato l’adorazione eucaristica che dà senso a tutta la manifestazione durante la quale si sono avute nuove adesioni personali alla vivificante pratica religiosa. La celebrazione eucaristica, Il saluto di padre Roberto Pedrini con la benedizione del vescovo Paolo concludono l’incontro, rafforzando maggiormente le motivazioni dell’adorazione perpetua.
Pasquale Monaco

Santa Lucia

Lucia nacque intorno all’anno 280 d.C. a Siracusa da nobili genitori, dai quali apprese le verità del cristianesimo e il messaggio di amore di Gesù.
Lucia, preoccupata per l’aggravarsi della malattia della mamma, decise di recarsi in pellegrinaggio a Catania sulla tomba di S. Agata per chiedere la guarigione. La santa le apparve in sogno e le disse: "Lucia, sorella mia, perché chiedi a me ciò che tu stessa puoi ottenere per tua madre?”. Ottenuta la grazia, avvertì il desiderio di consacrarsi totalmente a Gesù unendosi a Lui con voto perpetuo di verginità e di voler donare la sua ricca dote nuziale ai poveri.
Un giovane della sua città, innamorato di Lucia, deluso per il mancato matrimonio, si vendicò con rabbia, denunciandola al prefetto romano Pascasio, come seguace di Cristo. L’imperatore Diocleziano infatti aveva emesso un editto che prevedeva una feroce repressione contro i cristiani.
Lucia fu arrestata e condotta dinanzi al prefetto Pascasio, che le ordinò di fare sacrifici agli dèi pagani per rinnegare la propria fede cristiana. Lucia subito si oppose, Pascasio allora ordinò che la ragazza fosse portata nei peggiori bassifondi della città affinché le fosse usata violenza. I soldati l’afferrarono per portarla via, ma per quanto si sforzassero non riuscivano a spostarla. Dio non permetteva a nessuno di portarla via. Pascasio ordinò allora che fosse bruciata sul rogo, ma le fiamme lasciarono Lucia illesa. Venne uccisa per decapitazione il 13 Dicembre del 304.

San Nicola


Nicola nacque intorno al 260 a Pàtara in Asia Minore, da una famiglia facoltosa. Fu eletto vescovo a furor di popolo proprio a causa della sua fama di santo della carità. Un antico biografo ci racconta che intervenne a favore di tre fanciulle: Nicola era venuto a sapere che un uomo, un tempo ricco, aveva perso tutto ciò che possedeva e per superare le difficoltà finanziare voleva far prostituire le sue tre figlie. Per evitare che il piano scellerato di quel padre prendesse forma, Nicola avvolse delle monete d’oro in un panno e lo fece scivolare all’interno della casa, tramite una finestra, ripetendo il gesto ben tre volte. Con quei soldi l’uomo riuscì a far maritare le sue tre figlie. Nicola compì tanti altri miracoli, tra i quali uno storicamente accertato: salvò la vita a tre cittadini innocenti che avrebbero dovuto pagare le sovercherìe di tre ufficiali di Costantino. Quando qualcuno iniziò a scrivere che aveva salvato tre bimbi e non tre innocenti, nacque il suo patronato, oltre che per i carcerati e per i marinai, anche per i bambini, con le relative leggende che sfoceranno nella gioiosa figura di Santa Claus o Babbo Natale. Nicola muore il 6 dicembre di un anno incerto e il suo culto si diffonde dapprima in Asia Minore. Oggi Nicola è il patrono di Bari perché le sue reliquie furono rubate da un gruppo di marinai pugliesi nel 1087.

Giornalino dicembre 2012




Beato Charles de Foucauld

Charles De Foucauld nasce a Strasburgo nel 1858. Da giovane entra a far parte di una scuola militare e partecipa ad una operazione bellica, terminata la quale si dimette dall'esercito, dedicandosi ad attività di esplorazione. Con determinazione ricerca la fede in Dio anche attraverso le sue opere. "Nello stesso attimo in cui cominciai a credere che c'era un Dio, compresi che non potevo fare altro che vivere per Lui; la mia vocazione religiosa risale alla stessa ora della mia fede". Affascinato dall'Africa settentrionale, dedica una parte della sua vita a carpirne le tradizioni e i costumi e, da esploratore delle cose del mondo, diventa uomo alla ricerca di Dio; visita i luoghi santi della Palestina e Gerusalemme. Nel territorio di Tamanrasset (Tunisia) costruisce un piccolo romitorio; da questo momento le sue meditazioni e i suoi ritiri diventeranno silenzi e scritti per dar modo alle popolazioni del Sahara di conoscere direttamente le verità cristiane. Gli scritti spirituali di padre de Foucauld vogliono far scoprire il rapporto intimo di fede con Cristo, una fede che non può essere alimentata solo dall’emozione del momento, ma deve trovare nelle verità cristiane la roccia forte. La vita di padre de Foucauld si conclude il 1° dicembre 1916: egli viene assassinato durante un attacco di predoni del deserto.

Beato Giacomo Alberione


Nasce nel 1884 da contadini piemontesi; a dodici anni entra in seminario e nel 1907 verrà ordinato sacerdote. Studia tantissimo, perché vuole essere preparato in tutto e con il tempo Giacomo Alberione darà vita a una novità mai vista nella Chiesa: uomini e donne che prenderanno i voti per dedicarsi alla comunicazione religiosa, con i metodi e gli strumenti che il tempo richiede. Così i paolini, futuri editori nel mondo, nascono in segreto ad Alba col nome di “Scuola tipografica Piccolo Operaio” e successivamente “Pia Società San Paolo”. Ecco, però, che arriva la guerra e con essa arrivano le dolorose asprezze nel clero. Il sogno, però, inizia a concretizzarsi quando, negli anni trenta la società San Paolo ha ricevuto le prime approvazioni da papa Pio XI, il papa della radio e delle missioni. I ragazzi che seguono don Alberione partono per l’Africa, l’America, l’Asia. Nel 1931 egli impegna i suoi in un’altra avventura: in Italia, ad Alba. Alla vigilia di Natale fa uscire in diciottomila copie il primo numero di “Famiglia Cristiana”, indicando lui i contenuti: “Deve essere il giornale di tutta la famiglia”. Nei primi anni sessanta, i suoi Paolini e le Figlie di San Paolo hanno venduto più di un milione di copie delle “Bibbie da mille lire”, inventate da lui stesso.
Muore a Roma nel 1971 e Giovanni Paolo II lo proclama beato nel 2003.

Piano pastorale 2012/13

Analisi dei bisogni emersi


* Bisogno di conversione continua imparando a pregare con la Parola affinché diventi nutrimento della nostra fede e sorgente di carità operosa;
* bisogno di stabilire con la Parola un rapporto tale che ci aiuti a fare verità dentro di noi liberandoci da falsità, atteggiamenti ipocriti e ambigui che, spesso, inquinano le relazioni personali con Dio e con i fratelli;
* bisogno di sapersi accogliere tra i membri della comunità e farsi capaci di accogliere coloro che frequentano solo la messa domenicale, nonché  tutti i cosiddetti  “lontani”;
* bisogno di favorire  una rete di rapporti tra le varie realtà.

Strumenti da utilizzare

* Organizzare momenti di fraternità per tutti, specie in momenti particolari (Natale, carnevale, periodo pasquale);
* organizzare gite e/o pellegrinaggi;
* attenzionare con discrezione persone sole, ammalate, anziane e famiglie in difficoltà economiche e /o in lutto;
* potenziare le energie della S. Vincenzo parrocchiale;
* attivare uno sportello “ascolto” settimanale;
* attivare incontri quindicinali di catechesi per gli adulti.

Obiettivi da raggiungere

* Approfondire e migliorare il rapporto con la Parola a livello personale e comunitario, non solo come conoscenza e studio, ma soprattutto come ascolto di Dio Via, Verità e Vita;
* contribuire a sviluppare un clima di correzione fraterna nell’esercizio delle virtù umane e cristiane, in famiglia e in comunità, per favorire l’opera della grazia;
* diventare comunità che si accoglie all’interno e che accoglie tutti, in particolare gli ultimi;
* agire in sinergia tra  i gruppi, nella realizzazione degli obiettivi e nel rispetto dello specifico di ciascuna realtà.

                                                                                            Il  Parroco
 Comiso, 6 novembre 2012                                                                                            don Enzo Barrano

San Martino di Tours


Nato nel 317 da genitori pagani in   Ungheria, Martino trascorre l’infanzia  a Pavia. Lì matura la sua sensibilità religiosa; contro il parere dei genitori, a dodici anni chiede di essere ammesso al catecumenato, ma dovranno passare sei anni prima che possa ricevere il battesimo. A quindici anni è costretto ad arruolarsi nell’esercito, dove ben presto si distingue per le sue virtù. Il celebre episodio del mantello tagliato a metà e condiviso con un mendicante e la successiva visione di Cristo apparsogli avvolto proprio in quel pezzo di mantello da lui donato al povero, sono per Martino il segnale della sua chiamata a passare da soldato dell’imperatore a soldato di Cristo. Infatti nel 356 egli lascerà l’esercito e seguirà la scuola di Ilario, vescovo di Poitiers. Rientra nel suo paese e converte la madre al cristianesimo, ma trova l’astio degli ariani che presto lo cacciano. Si rifugia poi vicino Milano per fare un’esperienza di vita ascetica, ma anche da qui è costretto a scappare e più tardi fonderà un monastero non lontano da Tours: città di cui era stato eletto vescovo  nel 371. Spesso ostacolato, Martino persegue con saggezza i suoi propositi, col solo scopo di assicurare il bene della Chiesa che gli era stata affidata e si distingue sempre per l’esempio di una vita di preghiera,   penitenza e ascesi, spogliata di ogni incrostazione di potere e privilegio, come si conviene a chi cerca Dio.

L'anno della fede


L’11 ottobre è iniziato l’anno della fede. Quest’anno vogliamo “lasciarci interpellare ancora e per tante volte da Gesù nello stesso modo e con le stesse parole: «Voi, chi dite che io sia?». Dovremmo anche noi rispondere come i discepoli: «Tu sei il Cristo!». Insomma, da quella domanda iniziale di Gesù e dalla decisa risposta di Simone, sarà necessario lasciarsi guidare per un anno. Sembra poco, ma non lo è.
Quella domanda, infatti, ne veicola altre che dobbiamo porre con sincerità a noi stessi: credo in Cristo? Credo nella sua esistenza storica e nella sua resurrezione? Credo che egli sia venuto da Dio per essere Dio insieme a noi? Credo che la sua parola è Parola di Dio che porta con sé la risposta alle domande sul senso della vita? Credo che nulla di più bello poteva capitarmi che divenire cristiano?
E ancora: credendo questo, la mia vita è più sicura? È più equilibrata?  È più consapevole del suo senso? Vive meglio il dolore? È una vita che spera? È una speranza che si vede? È una speranza che contagia? Se il mio corpo, come di fatto avviene, può invecchiare o perdere un po’ di salute, è forse accaduto qualcosa di simile alla mia fede? È ancora capace di costruire un organismo nel quale siano vive difese immunitarie? È ancora così energica da rimandare al mittente tutte le lettere esplosive  che mi arrivano dai non pochi nemici della fede stessa, uno dei quali è sicuramente la pigrizia?
Il Santo Padre, Benedetto XVI, nella Lettera apostolica con la quale indice l’anno della fede, “Porta fidei”, scrive: «Desideriamo che questo Anno susciti in ogni credente l’aspirazione a confessare la fede in pienezza e con rinnovata convinzione, con fiducia e speranza. Sarà un’occasione propizia anche per intensificare la celebrazione della fede nella liturgia, e in particolare nell’eucarestia, che è “il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutta la sua energia”. Nel contempo auspichiamo che la testimonianza di vita dei credenti cresca nella sua credibilità. Riscoprire i contenuti della fede professata, celebrata, vissuta e pregata, e riflette sullo stesso atto con cui si crede, è un impegno che ogni credente deve fare proprio, soprattutto in questo anno» (n. 9)

(tratto da "L’anno della fede”, 
Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione)     

Vai al sito ufficiale dell'anno della fede                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                             

Chi sono io?


Sul frontone del tempio di Delfi, nell’antica Grecia, c’era scritto: “Conosci te stesso”. Da sempre questo è stato l’imperativo dell’uomo. “Chi sono io?” è, infatti, una domanda che ogni uomo si pone almeno una volta nella vita.
È però nell’adolescenza che questa domanda si fa più forte e la ricerca di se stessi diventa un obiettivo primario. Proviamo allora a dare una risposta.
Iniziamo innanzitutto a dire che siamo degli esseri umani. Siamo uomini e non animali. E sapete qual è la differenza?....Che l’uomo è un essere composto da anima e corpo: grazie al nostro corpo infatti noi ci muoviamo, sentiamo, agiamo, grazie alla nostra anima invece noi pensiamo, proviamo dei sentimenti, scegliamo.
Quando sta per nascere un bambino tutti i parenti dicono: a chi somiglierà? C’è chi dirà al padre, chi alla madre. Ma una cosa è certa: somiglierà a Dio. In Genesi 1,27 sta scritto infatti: “E Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza". Dunque siamo immagine  di Dio. Che grande notizia!
Inoltre si racconta che Dio, dopo averci creato, ha buttato via lo stampino: non siamo stati fatti in serie, poiché ognuno di noi è un essere unico e irripetibile. Unico perché non esiste sulla faccia della terra un altro come me, ognuno ha la sua originalità, la sua propria personalità. Irripetibile, perché non nascerà mai, né è mai nato un altro uguale a me. Ci sono io solo, con i miei pregi e i miei difetti, questa è la mia storia e di nessun altro e solo io posso decidere come viverla.
In definitiva, ognuno di noi è un mistero. Tu sei come un pozzo senza fondo, dal quale puoi tirare fuori tante cose inaspettate, talenti, doni, qualità, insieme anche ad alcuni aspetti negativi del tuo carattere. Ci sono cose che già conosci di te, ci sono cose che invece non hai ancora scoperto.
Si racconta che un giorno un ragazzino, un certo Bartolomeo Garelli, giunse all’oratorio di Don Bosco, allora il santo gli chiese se sapeva fare qualcosa, provò con una serie di domande, ma ad ogni domanda la risposta era negativa, alla fine gli chiese: “Sai fischiare?”. “Quello sì” rispose il ragazzo e il suo volto si illuminò.
Non c’è nessuno che non sappia fare nulla. Tutti sappiamo fare qualcosa, fosse anche saper fischiare. Se credi di non saper fare niente, basta solo che ti metti in ricerca e troverai di certo qualche tuo talento.
Ti indico tre strade che puoi percorrere per conoscerti meglio:
1) Guarda dentro di te: cosa ti piace fare? Cosa sai fare? Quali sono i tuoi interessi? Sperimentati, saggia le tu forze, scoprirai capacità inaspettate!
2) Guarda agli altri, fatti aiutare da loro. Gli altri come uno specchio, ci rimandano l’immagine di noi stessi, ci mostrano qualcosa sulla nostra identità, mettendo in luce aspetti di noi che non conoscevamo. Gli amici, i genitori, gli insegnanti, gli educatori sono una risorsa importantissima per conoscerci meglio.
3) Guarda a Dio: è Lui che ti rivela la tua identità più profonda. É lui che ti ha creato e ti conosce più di nessun altro. É lui che sa tirare fuori dal tuo cuore potenzialità di bene che tu non oseresti immaginare.
È fondamentale dunque, alla tua età imparare a conoscere te stesso. Se ci conosciamo a fondo sappiamo anche metterci in relazione con gli altri e con il mondo che ci circonda. Chi si conosce non ha paura di nulla, poiché sa quali sono i suoi limiti e le sue potenzialità.
Per fare questo lavoro però bisogna avere un pizzico di coraggio per guardarsi dentro e scoprire tutto di noi, sia le cose che ci piacciono sia quelle che ci piacciono di meno. Il più grande viaggio che nella vita possiamo compiere è quello dentro noi stessi. Conoscere sé stessi è un’avventura fantastica che vale la pena di vivere.
Buon lavoro!

Davide Mezzasalma

La commemorazione dei defunti



La speranza cristiana trova fondamento nella Bibbia, nella invincibile misericordia di Dio. «Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!», esclama Giobbe nel mezzo della sua tormentata vicenda. Non è dunque la dissoluzione nella polvere il destino finale dell’uomo, bensì, attraversata la tenebra della morte, la visione di Dio. Per questo i fedeli pregano per i loro defunti e confidano nella loro intercessione. Nutrono infine la speranza di raggiungerli in cielo per unirsi gli eletti nella lode della gloria di Dio.
La Chiesa è stata sempre particolarmente fedele al ricordo dei defunti. Nella professione di fede del cristiano affermiamo: “Credo nella santa Chiesa cattolica, nella comunione dei Santi…”. Per “comunione dei santi” la Chiesa intende l’insieme e la vita d’assieme di tutti i credenti in Cristo, sia quelli che operano ancora sulla terra sia quelli che vivono nell’altra vita in Paradiso ed in Purgatorio. Dalla comunione dei santi nasce l’interscambio di aiuto reciproco tra i credenti in cammino sulla terra e i credenti viventi nell’aldilà, sia nel Purgatorio che nel Paradiso. La Chiesa, inoltre, in nome della stessa figliolanza  di Dio e, quindi, fratellanza in Gesù Cristo, favorisce questi rapporti e stabilisce anche dei momenti forti durante l’anno liturgico. Il 2 Novembre, infatti, è il giorno dedicato alla commemorazione dei defunti.
Questa festa ebbe origine in Francia all’inizio del X secolo. Nel convento di Cluny viveva un santo monaco, l’abate Odilone, che era molto devoto delle anime del Purgatorio, al punto che tutte le sue preghiere, sofferenze, penitenze e messe venivano applicate per la loro liberazione dal purgatorio. Si dice che uno dei suoi confratelli, di ritorno dalla Terra Santa, gli raccontò di essere stato scaraventato da una tempesta sulla costa della Sicilia; lì incontrò un eremita, il quale gli raccontò che spesso aveva udito le grida e le voci dolenti delle anime purganti provenienti da una grotta insieme a quelle dei demoni che gridavano contro l’abate Odilone. Costui, all’udire queste parole, ordinò a tutti i monaci del suo ordine di fissare il 2 novembre come giorno solenne per la commemorazione dei defunti. Era l’anno 928 d.C. Da allora, ogni anno la “festa” dei morti viene celebrata in questo giorno.
Da allora quel giorno rappresenta per tutti una sosta nella vita per ricordare con una certa nostalgia il passato, vissuto con i nostri cari che il tempo e la morte han portato via. La certezza della morte deve farci riflettere, affinché possiamo essere pronti all’incontro con essa senza alcuna paura. Del resto il pensiero della morte ritorna ogni volta che ci rivolgiamo alla Madonna con la preghiera del Rosario: “…. prega per noi, adesso e nell’ora della nostra morte”. Si dice che la morte sia spaventosa: ma non è tanto la morte in sé a terrorizzarci, quanto piuttosto l’atto del morire ed il giudizio susseguente di dannazione o di salvezza eterna.
É, infatti, il terrore di un attimo e non dell’eternità a spaventarci. Dunque sorgono molte domande: come sarà quel momento? Quanto durerà? Chi mi assisterà? Sarò solo? Dove sarò? In casa, per strada, al lavoro, mentre prego? Quando mi sorprenderà? Il pensiero di trovarsi soli, faccia a faccia con la morte, può produrre disagio e paura mentre si è in vita. Eppure per i veri cristiani non dovrebbe essere così: la morte, se vista nella luce di Dio, diventa un dolce incontro non un tramonto, l’alba bellissima della vita eterna con Dio insieme agli angeli e ai santi che ci hanno preceduto in terra.
Antonio Cilia

La trappola dell'occulto: Halloween, Capodanno di tutto il mondo esoterico

Da diversi anni Halloween si è diffuso ovunque in Italia e in buona parte dell’Europa attraverso un processo apparentemente legato solo al business e alla moda, silenzioso e inarrestabile. Genitori e nonni si prodigano a comprare la famigerata zucca, gli addobbi e le maschere spaventose ai propri bambini, con lo stesso impegno profuso per la festa di carnevale. Ma Halloween non è un carnevale, e un cristiano non dovrebbe definirla una festa, sebbene si presenti soltanto come un innocente momento di spensierato divertimento.   
Purtroppo molti ignorano il reale significato di questa deleteria ricorrenza che nasce dal “Samhain”, un rito in onore di divinità pagane celebrato nelle isole britanniche dalle popolazioni celtiche. Si trattava, quindi, di un culto al principe della morte attraverso riti orgiastici, durante i quali le bevande alcoliche scorrevano a fiumi, e l’offerta di sacrifici anche umani era considerata necessaria per ingraziarsi gli spiriti maligni. I Druidi, che rappresentavano la casta sacerdotale dei Celti, celebravano la notte di “Samhain” come la solenne cerimonia di passaggio dalla stagione estiva a quella invernale.   
Era questo il momento in cui le tenebre avrebbe domato il dio del Sole facendo tornare sulla terra le anime defunte che si sarebbero introdotte nei viventi. Per allontanare questi spiriti si compivano dei rituali dove era necessario mascherarsi con le pelli di animali uccisi in precedenza. I Druidi portavano delle lanterne create con delle rape svuotate e incise a forma di volto umano al cui interno era posta una candela accesa realizzata con il grasso dei sacrifici. Il mattino seguente si accendeva il fuoco nuovo e si compiva il giro delle famiglie portando in ogni abitazione le braci ardenti: chi rifiutava l’offerta veniva maledetto. Papa Gregorio IV nell’834 decideva di posticipare la festa di Ognissanti dal 13 maggio al 1° novembre, al fine di scalzare le credenze popolari relative al culto del “Samhain”.   
Gli irlandesi credevano che il 31 ottobre i defunti potessero avere un accesso nel mondo dei vivi. Per questo motivo tradizionalmente in casa lasciavano il fuoco acceso, il cibo sulla tavola e la porta d’ingresso socchiusa. I bambini, invece, chiedevano leccornie, mele e nocciole che rappresentavano le offerte ai defunti. Anche oggi, i ragazzini, soprattutto nei Paesi di cultura anglosassone, vanno in giro a bussare alle porte delle case ripetendo la formula “trick or treat”, che dietro all’innocente significato di “dolcetto o scherzetto” e alla traduzione letterale di “trucco o divertimento”, nasconde quello originario di “maledizione o sacrificio”. Secondo una leggenda la tradizionale zucca, somigliante ad una testa di morto, rappresenta l’irlandese errante Jack O’Lantern, che avrebbe cercato di ingannare il diavolo che a sua volta si sarebbe vendicato condannandolo a vagare in eterno tra terra e cielo.   
Oggi attorno ad Halloween c’è un mercato di maschere, teschi, zucche, mantelli, cappellacci, fantasmi, streghe e zombie…balli in maschera, notti trasgressive… Ma è anche un periodo in cui si denota un netto incremento di affari per i maghi dell’occulto. È proprio questo l’aspetto ancora più inquietante di tutta la vicenda: il 31 ottobre viene riscoperto con grande fascino dagli esoteristi che addirittura definiscono questa notte come «il Capodanno di tutto il mondo esoterico, la festa più importante dell’anno per i seguaci di satana».   
Altro che semplice evasione e gioco! Halloween si rivela il “giorno più magico dell’anno” e l’occasione per consultare maghi, oroscopi e tarocchi fino a giungere alle iniziazioni esoteriche. Per gli occultisti è una delle quattro ricorrenze più importanti del loro calendario, dove la profanazione dei cimiteri, le messe nere, i sacrifici e ogni sorta di dissacrazione e sacrilegio vengono esaltati ed auspicati. Halloween rappresenta così l’ennesimo tentativo di promuovere il macabro, l’orrore, l’occultismo e l’esoterismo, la stregoneria e la magia.   
La santità, la purezza, la carità, la bellezza, sono costrette a lasciare il posto ad immagini di morte e di sangue, a messaggi distorti e lugubri, costringendo la nostra cultura ad accogliere le attività del male come se fossero un bene e rifiutando il cristianesimo come superato e fuori moda. Le nuove generazioni ricevono un ulteriore bombardamento di orrore e violenza, pensando forse che la paura della morte si possa vincere facendo amicizia con fantasmi e vampiri, streghe e demoni.
Dinanzi a questa realtà è importante reagire e non subire passivamente una ricorrenza lontana dalla nostra cultura e antitetica alle nostre radici religiose. Vorrei concludere rivolgendomi a tutti quei cattolici impegnati nel mondo dell’educazione che, insieme ai genitori, hanno la responsabilità di trasferire alle nuove generazioni il vero senso della vita con i suoi valori. Lo esprimo con le parole di un testimone della bellezza, innamorato di Gesù e dell’uomo, don Oreste Benzi, nel suo ultimo articolo scritto proprio su Halloween alla vigilia della sua morte: «Vogliamo che i nostri figli festeggino il giorno di Ognissanti con i demoni, il mondo di satana e della morte oppure con gioia e pace vivendo nella luce? Esortate i vostri figli dicendo loro: vuoi giocare e divertirti con i demoni e gli spiriti del male o invece scegli di gioire e far festa con i Santi che sono gli amici simpatici e meravigliosi di Gesù?».   

Don Aldo Bonaiuto

Educhiamoci alla verità

É l’invito che il nostro  vescovo ci rivolge per l’anno pastorale 2012/13. Venerdì 21 settembre u. s. in cattedrale a Ragusa ha presentato, ad un folto pubblico, il documento che si articola in quattro punti fondamentali: cos’è la verità; cercare la verità; camminare nella verità; possibili piste di verifica.
L’analisi del vescovo è partita dalla constatazione della crisi di valori dell’attuale società a tutti i livelli, di contro, si avverte il bisogno di conoscere la verità per combattere falsità, inganni e menzogna. I Magi si misero in cammino per cercare la verità senza scendere a compromessi col potente di turno; Pilato, invece, in riferimento ai capp. 18 e 19 del vangelo di Giovanni, pur non riscontrando nessuna colpa in Gesù, lo fa condannare perché la folla vuole libero Barabba, un malfattore.
Dal documento del vescovo emerge, pertanto, la necessità di smascherare ogni tipo di ipocrisia dal momento che la parola verità contiene in sé anche i concetti di giustizia, onestà, libertà, amore che tessono la rete della vita. Il documento mette altresì in luce gli atteggiamenti che devono guidare il cristiano nella ricerca della verità che non può prescindere da fiducia reciproca, fedeltà, umiltà, carità.
A conclusione della sua riflessione il vescovo, dopo aver affermato che la Verità è Gesù, Parola incarnatasi per la salvezza dell’umanità, suggerisce delle piste concrete da attuare, con modalità diverse, nelle singole comunità parrocchiali in rapporto ai bisogni emergenti e/o emersi.        
Così  mercoledì 26 settembre, la nostra comunità si è riunita in assemblea e il parroco, visto che non tutti eravamo presenti a Ragusa, ha sinteticamente illustrato le linee guida del documento succitato aiutandoci a riflettere come singoli e come comunità. Dopo ci siamo riuniti in piccoli gruppi per elaborare probabili percorsi di formazione, nella consapevolezza che il tema tocca trasversalmente tanti ambiti: dalla vita alla liturgia, alla carità; un cristiano non può essere autentico a metà o in base alle situazioni, la sua fede, tra l’altro, si rivela nell’agire concreto del quotidiano, nel costruire relazioni vere e leali, nel realizzare i valori universali di cui Cristo si è fatto annunciatore e modello fino al dono totale di sé sulla croce. Quanto più alta è la meta tanto più forte e intensa la lotta che bisogna affrontare per raggiungerla, nella certezza che Gesù non farà mancare il suo aiuto.
Vista l’importanza del tema la comunità si riunirà ancora in assemblea per programmare interventi mirati rispondenti al tema dell’ospitalità, della ricerca dei lontani, dell’ascolto di Dio e della sua Parola per sviluppare una sempre più coerente identità di fede.    


   Salvina Barone                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    

Il mio miglior amico Gesù


Ore 6.00 mi sveglio tutta ansiosa per la partenza tanto attesa che ogni anno emoziona grandi e piccoli: il campo parrocchiale aperto a tutti i ragazzi della scuola media. Arrivati in piazzetta trovo tutti i miei compagni che aspettano trepidanti l’ora della partenza e nel frattempo scambiano qualche chiacchiera. Finalmente il così tanto atteso momento arriva, perciò carichiamo tutte le valigie in macchina e… si parteeeeee!!! Dopo circa mezz’ora di strada, dove il paesaggio ci coinvolge in tutta la sua maestosità, arriviamo a destinazione; così tutti, eccitati quanto timidi, scendiamo in attesa della sistemazione in camera. Intanto gli animatori ci accolgono con una canzone molto allegra, mentre i genitori commentano l’avvenimento. Dopo un breve e “dolce” break iniziamo a conoscere il personaggio che ci accompagnerà per tutta la durata del campo: il piccolo principe, che venuto da un pianeta lontano è giunto fino alla Terra. Iniziamo con il primo insegnamento, che parla di “Chi sono io?” e poi il secondo intitolato  “Le maschere”.
Dopo aver trattato questi due temi ci riuniamo in gruppi per la condivisione e anche per conoscerci tra di noi. Dalla condivisione salta fuori che noi non ci conosciamo ancora del tutto e quindi per capire come siamo fatti ci servono gli educatori (genitori, catechiste, sacerdoti ecc…) ma questo processo è destinato a durare tutta la vita. QQqqQueste maschere le abbiamo paragonate a delle persone tratte dalla storia del piccolo principe: il re, il vanitoso, l’uomo d’affari, il lampionaio, il geografo e l’ubriacone. Abbiamo notato che tutti questi personaggi hanno una caratteristica in comune: sono tutti soli nel loro pianeta e hanno bisogno di compagnia. Dopo un po’ di giochi tutti insieme finalmente a pranzo e, dopo, un riposino nelle proprie camere. Il pomeriggio abbiamo giocato tutti allegramente e dopo padre Enzo ci ha fatto riflettere con uno dei suoi insegnamenti. Il giorno dopo sveglia alle 6.30 e recita del Santo Rosario mentre passeggiamo per i campi. “Solitudine” e “Amicizia” sono i temi con cui ci confrontiamo; tutti i personaggi che avevamo visto il giorno prima soffrivano: il re senza nessuno da comandare, il vanitoso senza nessuno con cui vantarsi della sua bellezza, il geografo senza esploratori; l’ubriacone con i suoi sensi di colpa e il suo vino per dimenticarli; l’uomo d’affari con tutte le sue stelle che credeva di possedere e con cui credeva di diventare ricco ma senza nessuno con cui condividerlo; il lampionaio con il suo lampione che accendeva e spegneva ogni minuto e soprattutto senza tempo da dedicare agli altri perché era sempre impegnato. Per quanto riguarda l’amicizia abbiamo commentato il significato attraverso il simbolo di un fiore i cui petali rappresentano le qualità di una vera amicizia: fedeltà, gratuità, libertà, autenticità, pazienza, condivisione, e abbiamo così capito che il nostro vero migliore amico è Gesù, poi abbiamo fatto un piccolo momento di preghiera legando dei fili di spago a forma di treccia per rappresentare il nostro legame col Signore. La domenica pomeriggio sono venuti i genitori e dopo la messa siamo tornati tutti a casa con un notevole “bagaglio” di riflessioni.
 Simona Nicita

I 10 comandamenti: istruzioni per l'uso



Non è stato un semplice campo estivo quello organizzato dalla parrocchia nella casa di spiritualità “San Luca” dal 23 al 26 agosto: per i circa 30 giovani e giovanissimi che vi hanno partecipato è stata una vera esperienza di rinnovamento spirituale e motivo di coesione fraterna.
Il corso, che aveva come titolo “I 10 comandamenti: segnaletica per la libertà”, è stato più volte paragonato a un viaggio con una meta già certa, la libertà, dove i 10 comandamenti rappresentano i mezzi con i quali affrontare il viaggio e raggiungere la meta. Per intraprendere questo viaggio è stato scelto, metaforicamente, un treno che viaggia su due binari: Dio e i fratelli, perché non si può arrivare a Dio senza la comunione con i fratelli e viceversa.
Perché dovrei seguire i 10 comandamenti?
Era la domanda che sorgeva spontanea nella mente di ogni corsista e che vi sarete posti anche voi almeno una volta nella vita. La risposta è semplice, quasi ovvia: perché sono parole d’amore pronunciate da Dio per il nostro bene, per renderci liberi, proprio come un genitore amorevole dà al figlio regole da seguire non per punirlo, ma per proteggerlo. Queste “10 parole d’amore” sono state attentamente analizzate e sviscerate una per una al fine di coglierne il significato più nascosto, più profondo, più vero. Ciò ha portato i partecipanti a vedere i comandamenti sotto una luce diversa, ricchi di nuovi significati e non più come obblighi imposti dall’alto senza un apparente motivo, ma come utili guide per chi voglia raggiungere la libertà e la felicità.
Chi o cosa domina il vostro  cuore?
É difficile pensare che questa domanda abbia a che fare con il primo comandamento che recita       “Non avrai altro dio all’infuori di me”, eppure lo scopo di questo comandamento è proprio invitare ognuno a fare un piccolo esame di coscienza, ad abbattere tutti i falsi idoli che monopolizzano tutto il nostro tempo e a compiere ogni azione quotidiana con Lui nel cuore, rendendogli grazie sempre.
Non vi è mai capitato di parlar male di un fratello?
Ecco, siete appena andati contro il secondo comandamento: “Non pronunciare il nome di Dio invano”. Da sempre comunemente parafrasato come “non bestemmiare”, questo comandamento ha in sé un significato ben più profondo, perché se è vero che nel prossimo c’è Dio, allora bisogna aver il giusto rispetto dell’altro com’è necessario il dovuto rispetto verso Dio.
“Finalmente è domenica, mi devo riposare! Chi me lo fa fare ad andare a messa?”
Non una volta nella vita, ma ogni domenica si ripropone in noi la stessa domanda. In questo corso abbiamo trovato la risposta, ripercorrendo il terzo comandamento “Ricordati di santificare le feste”. Nel settimo giorno della creazione, Dio si riposò non per starsene con le mani in mano, ma per far festa con l’uomo, festa che Lui prepara per noi ogni domenica. Questo comandamento ci invita a santificare, non a partecipare alla messa: non è una formalità quella che il Signore ci chiede ma un bisogno che solo Lui può soddisfare.
Capite bene che bastano pochi esempi per dimostrare quanto intenso e interessante sia stato questo corso. Avrà sicuramente influito la tranquillità del luogo, così lontana dal frastuono del mondo, e gli insegnamenti spiegati in modo semplice e diretto da Elisabetta, Mariagrazia, don Gianni Mezzasalma, della comunità “Eccomi, manda me!”. Il tutto è stato poi impreziosito dall’incontro vivo e reale con Gesù nell’eucaristia, che ci ha donato momenti di intensa preghiera e intimità che ricorderemo per sempre.

Valentina Rimmaudo

Giovanissimi in festa!

Giorno 21 ottobre tutti i giovanissimi di Azione Cattolica della diocesi ci incontreremo a Ragusa per una giornata di festa insieme. Per partecipare rivolgetevi ai vostri animatori.


Giornalino ottobre 2012




Inizio anno catechistico

 

Domenica 7 ottobre durante la S. Messa delle 10.30 accoglieremo i nuovi ragazzi che quest'anno iniziano il cammino di iniziazione cristiana e si aprirà l'anno catechistico. Tutti i genitori e i ragazzi sono invitati a partecipare!

Campo giovani e giovanissimi

Dal 23 al 26 agosto 2012, vieni con noi, vivremo insieme un'esperienza che non dimenticheremo! Invita anche i tuoi amici, le iscrizioni sono già aperte...
Per ulteriori informazioni chiama al 3283845604.

Campo preadolescenti

Dal 7 al 9 settembre si svolgerà, presso la casa di spiritualità "San Luca" in c.da Monte Margi a Modica, il campo estivo per i ragazzi delle scuole medie.
Se sei interessato chiamaci per avere ulteriori informazioni (Chiara 3922871295).
Ti aspettiamo...

Santi Pietro e Paolo

S. Pietro fu uno dei dodici apostoli di Gesù, il suo nome originale era Simone, ma ricevette da Gesù il nome di Kefa, che in aramaico significa “pietra”. Prima di divenire discepolo di Gesù, Simon Pietro era pescatore. Secondo i Vangeli, Pietro fu tra i più intraprendenti e il più impulsivo degli Apostoli, per cui ne divenne il portavoce, con la celebre promessa: "E io ti dico che sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”. Era un uomo semplice, schietto, diremmo sanguigno come si deduce dall’episodio quando con la spada cercò di opporsi alla cattura di Gesù; ciò nonostante anche lui fu preso da timore durante l’arresto e il supplizio di Gesù, e lo rinnegò tre volte. Si pentì subito e pianse lacrime di rimorso..
Dopo la crocifissione e la Risurrezione, Pietro ormai convinto della missione salvifica del suo Maestro, torna a radunare gli altri Apostoli e discepoli dispersi, infondendo coraggio a tutti. S. Pietro ebbe il dono di operare miracoli, subì il carcere e miracolosamente liberato, lasciò Gerusalemme e infine raggiunse Roma.



S. Paolo rappresentò un grande esempio di fede per la quale cambiò completamente la sua vita, in seguito ad un evento miracoloso: mentre si recava a cavallo a Damasco per arrestare i cristiani, cadde a terra accecato da una luce intensa e sentì la voce di Gesù. Da quel momento, rimasto cieco per tre giorni, senza mangiare e bere, recuperò la vista solo dopo l’imposizione delle mani di Anania, un cristiano inviato da Dio. Fu un instancabile diffusore del Cristianesimo, tra tante difficoltà e pericoli. A causa dell’incendio di Roma nell'anno 67, di cui furono incolpati ingiustamente i cristiani, fra le migliaia di vittime vi furono anche S. Pietro e S. Paolo. Il primo, crocifisso col capo rivolto verso terra e sepolto nel Vaticano è celebrato con venerazione da tutto il mondo; l’altro, fu decapitato, ed è venerato con pari onore.

La devozione al sacro Cuore di Gesù



Al Sacro Cuore di Gesù, la Chiesa Cattolica, rende un culto di lode, intendendo così onorare:   il Cuore di Gesù Cristo, uno degli organi simboleggianti la sua umanità, che per l’intima unione con la Divinità, ha diritto all’adorazione e l’amore del Salvatore per gli uomini, di cui è simbolo il Suo Cuore.         
Questa devozione già praticata nell’antichità cristiana e nel Medioevo, si diffuse nel secolo XVII ad opera di S. Giovanni Eudes (1601-1680) e soprattutto di S. Margherita Maria Alacoque (1647-1690). La festa del Sacro Cuore fu celebrata per la prima volta in Francia, probabilmente nel 1685.
Santa Margherita Maria Alacoque, suora francese, entrò il 20 giugno 1671 nel convento delle Visitandine di Paray-le-Monial, visse con grande semplicità la sua esperienza di religiosa e mistica. Il divin Cuore si manifestò su un trono di fiamme, più raggiante del sole e trasparente come cristallo, circondato da una corona di spine simboleggianti le ferite inferte dai nostri peccati e sormontato da una croce, poi Gesù la sollecitò a fare la Comunione al primo venerdì di ogni mese e di prosternarsi con la faccia a terra dalle undici a mezzanotte, nella notte tra il giovedì e il venerdì. Gesù chiese ancora che il venerdì dopo l’ottava del Corpus Domini, fosse dedicato a una festa particolare per onorare il suo Cuore con Comunioni per riparare alle offese da lui ricevute. 
Margherita Maria Alacoque proclamata santa nel 1920 da papa Benedetto XV, ubbidì all’appello divino nelle visioni e divenne l’apostola di una devozione che doveva trasportare l’adorazione dei fedeli al Cuore divino.
Sull’onda della devozione che ormai co-involgeva tutto il mondo cattolico, sorsero dappertutto cappelle, oratori, chiese, basiliche e santuari dedicati al Sacro Cuore di Gesù; ricordiamo uno fra tutti il Santuario “Sacro Cuore” a Montmartre a Parigi.
Il 15 maggio del 1956 il Papa Pio XII pubblicò l'enciclica Haurietis Aquas in cui il Papa ricorda l'istituzione della festa del Sacro Cuore - estesa a tutta la Chiesa - da parte di Pio IX il 23 agosto 1856.  L'enciclica  Haurietis Aquas  ha messo in risalto il significato profondo di tale devozione, cioè l’amore di Dio, che dall’eternità ama il mondo e ha dato per esso il suo Figlio (Gv 3,16; cfr. Rm 8, 32).
Il punto di arrivo odierno lo potremmo vedere nella enciclica di papa Benedetto XVI Deus caritas est. Egli scrive: «Nella storia d’amore che la Bibbia ci racconta, Dio ci viene incontro, cerca di conquistarci – fino all’Ultima Cena, fino al Cuore trafitto sulla croce, fino alle apparizioni del Risorto…»; e conclude dicendo: «Allora cresce l’abbandono in Dio e Dio diventa la nostra gioia (cfr. Sal 73 [72], 23-28)». Non si tratta quindi di venerare soltanto il Cuore di Gesù come simbolo concreto dell’amore di Dio per noi, ma di contemplare la pienezza cosmica della figura di Cristo: «Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui… perché piacque a Dio di far abitare in lui ogni pienezza» (Col 1, 17.19).
Pardi Giusy