Gli auguri del nostro vescovo Carmelo

“Il Verbo si è fatto carne, ed è venuto ad abitare in mezzo a noi”

Carissimi fratelli e sorelle, mi rivolgo a ciascuno di voi salutandovi con un abbraccio fraterno.
La celebrazione del Natale ci da l’occasione  per fare qualche considerazione. È Natale se facciamo posto, nella mente e nel cuore, a Gesù che bussa alla nostra porta. Spesso non disponiamo di uno spazio già pronto per Lui: occorre, perciò, procurargli un ambiente che era occupato, sgombrandolo. Facciamo posto al Signore, nella nostra vita!
Bisogna farlo entrare dove Lui era assente e offrirgli ospitalità dove prima era escluso. Infatti, dobbiamo ammettere con onestà, che spesso siamo intasati da interessi sbagliati e da abitudini malate. E chi vive lontano dalla verità, non si vuole bene!
Per vivere un “Natale cristiano” bisogna spalancare il proprio cuore anche a Gesù “negli altri”, specie gli ultimi e i sofferenti. Altrimenti scadiamo in una fruizione solo esteriore della festa, fatta di consumismo diffuso, condito con un pò di buonismo passeggero.
Papa Francesco ci ricorda che “siamo chiamati a fare dell’amore, della compassione, della misericordia e della solidarietà, un vero programma di vita, uno stile di comportamento nelle nostre relazioni gli uni con gli altri”.
Vivere  il Natale comporta, dunque, impegnarsi in atti di sincera generosità, specie verso chi è “in debito” con noi. La novità evangelica, accesa nell’anima dal Signore ci spinge, nei rapporti interpersonali a condonare i “debiti” e i corrispettivi “rimborsi”, che ci erano dovuti. Ciò accade quando siamo pronti a dare un sorriso a qualcuno che eravamo tentati di scansare, o quando facciamo il primo passo per ricucire un rapporto lacerato, anche per colpa dell’altro.
Accogliere Gesù, in noi e negli altri, “è una scelta conveniente”, perché in Lui troviamo la Luce che da soli non abbiamo e riceviamo la forza che ci manca. Senza il Signore rimaniamo in balia di noi stessi, e non riusciamo a diventare ciò che siamo chiamati ad essere, poiché senza di Lui non possiamo far nulla (cfr. Gv 15,5). Solo il Verbo fatto uomo può dare significato alla nostra esistenza, donandoci la forza di vincere il male e di compiere il bene, secondo la volontà di Dio.
In ogni Natale il Signore nasce nei “luoghi” del dolore e accende sulla volta del nostro cielo una “stella cometa”, destinata a condurci fino a Lui: si tratta di qualcuno o qualcosa che ci porta un messaggio di salvezza, dove Dio ha messo la risposta che cerchiamo e la grazia di cui abbiamo bisogno per superare ogni contrarietà. Il Natale ci insegna a gettare gli affanni in Dio, che si prende cura di noi.
Carissimi amici, bisogna cercare il Signore con perseveranza seguendo la “stella”, come fecero i Magi. L’incontro con Gesù, facendoci figli dello stesso Padre, ci rende fratelli fra noi: è questa consapevolezza che ci consente di essere-famiglia, nella condivisione delle risorse e nella partecipazione alle difficoltà. Si fa Natale nella misura in cui si cresce nel vivere “attivamente” la comunità, ecclesiale e sociale, edificandole come case e scuole di comunione.
Stringiamoci, in questo Natale, con affetto commosso e fattiva partecipazione, alle popolazioni colpite dal flagello del terremoto: è una devastazione che conosciamo bene e per questo dobbiamo manifestare loro la nostra solidarietà.
Anche ai nostri fratelli immigrati vogliamo stringere cordialmente la mano, nel segno di una accoglienza animata da “carità intelligente” e, per questo, lungimirante: siamo convinti, infatti, che la vera saggezza, capace di costruire un futuro migliore, sta nel leggere, dentro le righe della storia, i disegni di Dio sui singoli e sui Popoli.
A Maria, la Madre del Figlio di Dio, affidiamo i pensieri più alti e i sentimenti più belli che lo Spirito ha seminato dentro di noi: possa questo Natale portare a tutti e a ciascuno la certezza che siamo preziosi agli occhi di Dio e che, in Gesù, il Verbo fatto carne,  possiamo attingere ogni bene.
A tutti, ed a ciascuno di voi, un caloroso augurio di Buon Natale!
† Carmelo, vescovo

L’avvento nel cuore del cristiano

L’Avvento, come suggerisce la parola stessa, è quel periodo di “attesa” che precede la nascita di Gesù, il Natale. Ma se dessimo un piccolo ma attento sguardo alla nostra vita, ci accorgeremmo di quanto sia influenzata dal ticchettio del tempo e, soprattutto, dell’attesa: di qualsiasi evento, che vada dalla risposta suc-cessiva a un colloquio di lavoro, a quella di una proposta di matrimonio, a quella del nostro incontro con Cristo stesso, alla conclusione del nostro viaggio sulla Terra. E, senza dubbio, l’attesa più coinvolgente per un cristiano è proprio quest’ultima: il ricongiungimento e l’eterno abbraccio col Figlio di Dio (e i nostri cari, ovviamente). E’ un’esperienza unica, personale e indescrivibile. Non ci è dato sapere in anticipo quanto emozionante e gioioso sarà questo incontro, ma se è lecito citare e parafrasare le parole di un grande scrittore tedesco, Gotthold Lessing, possono tentare di descrivere questo stato: “L’attesa del piacere, è essa stessa il piacere”. 
Le parole di Lessing si riferiscono più che altro a piaceri terreni, a cui quasi tutto il genere umano è avvinghiato. Ma se trasponessimo questo pensiero a ciò che rappresenta per noi l’incontro con Gesù, ci renderemmo conto della verità di queste parole: è già fervore e gioia pura quando, lentamente, ci dirigiamo verso di Lui nel momento dell’Eucarestia a messa, così come quando un futuro sposo e la sua futura consorte percorrono la navata, dirigend-si l’uno verso l’altra, febbricitanti di gioia ed emozione per l’imminente unione. E un esempio ancor più toccante ci è fornito da una ragazza speciale, che nel momento più difficile della propria vita (e, per estensione, della vita di ciascun uomo) ha affidato le sue paure ed angosce a Gesù, il quale l’ha ripagata con la tenacia e la gioia, stru-menti che solo Lui avrebbe po-tuto fornirle per sconfiggere la morte dell’anima ed affrontare quella corporale. Stiamo parlando di Chiara Luce Badano, una splendida e raggiante diciottenne ligure, appartenente al movimento dei focolari, spentasi a causa di un tumore osseo, beatificata il 25 settembre 2010. Tutto ha avuto inizio nel 1998, quando ancora diciassettenne, durante una par-tita di tennis accusa un malore alla spalla e l’anno successivo, dopo innumerevoli accerta-menti arriva al verdetto che nessuno vorrebbe mai ascoltare: un osteosarcoma con metastasi. E’ umanamente facile cadere nelle tenebre della disperazione in questi casi, ma la giovane Chiara inizia co-raggiosamente i trattamenti chemioterapico e radioterapi-co, che, ahimè, non hanno sor-tito effetti definitivamente po-sitivi. Ciononostante, il cando-re della sua anima e la forza di Cristo la spingono a continua-re le attività dei focolarini: dona i suoi risparmi a un ami-co in partenza per una missio-ne in Africa e realizza lavori a mano da vendere per beneficenza. Oramai malata termi-nale nonostante gli interventi, Chiara trascorre gli ultimi mesi di vita a casa a Sassello fino alla morte sopraggiunta il 7 ottobre. Già da due mesi aveva dato disposizioni per le sue esequie, chiedendo di essere deposta nel feretro indossando un abito bianco da sposa, considerando il momento del suo trapasso il matrimonio con Gesù. Come abbiamo detto prima, l’approccio iniziale è stato indubbiamente traumatico. Tanto da farla rinchiudere dentro casa, senza voler sentir nessuno per 25 minuti di silenzio straziante, chiedendosi il perché di tutto questo dolore.
Dirà, poi, che questo periodo sarà stato il suo Getsemani, così come lo è stato per Gesù, quando ha appreso la notizia del Suo sacrificio. Ma dopo quel lasso di tempo, esce dalla sua stanza e decide di affrontare la situazione con uno spirito nuovo. Da allora, Chiara non piangerà più, né si lamenterà, neppure quando le sue gambe non riusciranno a sorreggerla. Da quel momento in poi affiderà la propria esisten-za alle mani di Cristo e non im-porterà se il Maligno turberà i suoi sogni, perché quella è la “prova dei santi”. I giorni passa-no e lei non smette di affidarli a Gesù, attraverso i sorrisi e l’accoglienza ai fratelli . Finché un giorno decide di farsi cucire su misura un semplice e candido abito da sposa: È lo Sposo che viene a trovarmi, diceva. I medici, nel frattempo si stupiscono di questo atteggiamento e si chiedono come faccia una ragazzina quasi maggiorenne a rifiutare la morfina e ad essere sempre col sorriso tra le labbra. Il dolore aumenta, ma lei ha sempre quella luce negli occhi, una “luce” che la sua maestra Chiara Lubich ha notato, deci-dendo di sostantivarla “Luce”. A pochi istanti dalla tanto attesa dipartita, Chiara vuole vicino a sé la madre e la saluta così come fa una sposa coi genitori, prima di ricongiungersi al suo amato consorte: “ Mamma, ciao! Sii felice, perché io lo sono”. Ed è così che chiude gli occhi Chiara: col cuore colmo di gioia e un’eredità d’amore per tutti coloro che la conoscevano e che l’avrebbero conosciuta. Lei ha vissuto quest’attesa, questo “avvento”, sentendosi “avvolta in uno splendido disegno” che a poco a poco le si svelava, con la consapevolezza che lo Sposo sarebbe presto venuto a trovarla.

Federica Paganini