I nostri primi 50 anni (parte 1 di 3)



 

I nostri primi 50 anni (parte 2 di 3)




I nostri primi 50 anni (parte 3 di 3)




E' Pasqua. Cerchiamo e pensiamo alle cose di lassù!


Buona Pasqua, amici miei! Buona Pasqua a tutti!

Questa è la prima Pasqua dopo che Benedetto XVI ha rinunziato al pontificato e i cardinali hanno eletto come suo successore il cardinale Bergoglio, che ha scelto di farsi chiamare Francesco. Al Papa emerito rinnoviamo la nostra gratitudine per avere guidato con mano sicura, umile e amorevole, la barca di Pietro, soprattutto quando il mare si è fatto tempestoso. A Papa Francesco promettiamo ascolto attento e docilità incondizionata, perché la Chiesa continui ad annunciare il Vangelo al mondo “con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza” (prima lettera di Pietro, capitolo 2, versetto 16). Ad ambedue assicuriamo la nostra quotidiana preghiera.
Fratelli ed amici carissimi, Gesù nostra Pasqua è risorto. È veramente risorto!
Ma che cosa significano queste parole? Sono parole vuote o annunciano un avvenimento destinato a modificare la vita? Esprimono un vago sentimentalismo, ingenuo e superficiale, o piuttosto la decisa volontà di cambiare in maniera ancora più chiara la nostra vita di cristiani?
Già due anni fa, all’affermazione “Il Signore è veramente risorto!” facevo seguire l’interrogativo “E dunque?” e così rispondevo: “Dobbiamo ripartire da Lui e, insieme con Lui, operare perché la comunità umana riscopra l’unica via percorribile per la felicità di tutti, che è la via della fraternità, della pace, della giustizia e dell’amore”.
Quest’anno, tenendo presente lo stesso interrogativo (E dunque?), vi chiedo di riflettere su alcuni versetti della lettera che san Paolo scrisse ai Colossesi: “Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra” (capitolo 3, versetti 1 e 2).
Quando siamo stati battezzati, tra noi e Cristo si è creato un rapporto molto stretto, con la conseguenza bellissima che se Lui è risorto, anche noi siamo risorti con Lui. Il dono si trasforma in impegno: siamo chiamati a vivere da persone risorte, a cercare e pensare alle cose di lassù dove è Cristo.
Fate attenzione, però, a non intendere queste parole come un invito all’evasione e al disimpegno, a lasciare che il mondo vada come vuole, all’indifferenza di fronte alle gioie e alle sofferenze degli uomini, per dedicarsi a un Dio che sta in cielo, desideroso del nostro amore e incurante delle vicende di questa terra.
Le “cose della terra” che dobbiamo evitare non sono le attenzioni alla vita concreta d’ogni giorno ma, dice san Paolo, “impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria... ira, animosità, cattiveria, insulti e discorsi osceni”, menzogne.
Mentre le “cose di lassù” che dobbiamo cercare e alle quali dobbiamo pensare non sono le visioni mistiche o un artificioso paradiso sopra di noi; sono invece “sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri”; è il vestito della carità che unisce tutte quelle cose “in modo perfetto” (lettera ai Colossesi, capitolo 3, versetti 5-15). Altro, quindi, che evasione dagli impegni nel mondo e disprezzo della vita quotidiana! “È vero, ha detto il papa emerito Benedetto, che noi siamo cittadini di un’altra ‘città’, dove si trova la nostra vera patria, ma il cammino verso questa meta dobbiamo percorrerlo quotidianamente su questa terra. Partecipando fin d’ora alla vita del Cristo risorto dobbiamo vivere da uomini nuovi in questo mondo, nel cuore della città terrena” (Catechesi all’udienza generale, 27.4.2011).

Buona Pasqua, dunque, cari “cercatori” e “pensatori” delle cose di lassù.
Con tanto affetto.

                                                                                                   + Paolo, vescovo

Habemus Papam!


Dal 13 marzo la Chiesa ha il suo dolce Cristo in terra...
il card. Jorge Mario Bergoglio è divenuto Papa Francesco.

Il Signore Gesù lo protegga e lo conservi a lungo come guida del suo popolo!

Il padre e i due figli


Cari fratelli e sorelle!
In questa quarta domenica di Quaresima viene proclamato il Vangelo del padre e dei due figli, più noto come parabola del “figlio prodigo” (Lc 15,11-32). Questa pagina di san Luca costituisce un vertice della spiritualità e della letteratura di tutti i tempi. Infatti, che cosa sarebbero la nostra cultura, l’arte, e più in generale la nostra civiltà senza questa rivelazione di un Dio Padre pieno di misericordia? Essa non smette mai di commuoverci, e ogni volta che l’ascoltiamo o la leggiamo è in grado di suggerirci sempre nuovi significati. Soprattutto, questo testo evangelico ha il potere di parlarci di Dio, di farci conoscere il suo volto, meglio ancora, il suo cuore. Dopo che Gesù ci ha raccontato del Padre misericordioso, le cose non sono più come prima, adesso Dio lo conosciamo: Egli è il nostro Padre, che per amore ci ha creati liberi e dotati di coscienza, che soffre se ci perdiamo e che fa festa se ritorniamo. Per questo, la relazione con Lui si costruisce attraverso una storia, analogamente a quanto accade ad ogni figlio con i propri genitori: all’inizio dipende da loro; poi rivendica la propria autonomia; e infine – se vi è un positivo sviluppo – arriva ad un rapporto maturo, basato sulla riconoscenza e sull’amore autentico.
In queste tappe possiamo leggere anche momenti del cammino dell’uomo nel rapporto con Dio. Vi può essere una fase che è come l’infanzia: una religione mossa dal bisogno, dalla dipendenza. Via via che l’uomo cresce e si emancipa, vuole affrancarsi da questa sottomissione e diventare libero, adulto, capace di regolarsi da solo e di fare le proprie scelte in modo autonomo, pensando anche di poter fare a meno di Dio. Questa fase, appunto, è delicata, può portare all’ateismo, ma anche questo, non di rado, nasconde l’esigenza di scoprire il vero volto di Dio. Per nostra fortuna, Dio non viene mai meno alla sua fedeltà e, anche se noi ci allontaniamo e ci perdiamo, continua a seguirci col suo amore, perdonando i nostri errori e parlando interiormente alla nostra coscienza per richiamarci a sé. Nella parabola, i due figli si comportano in maniera opposta: il minore se ne va e cade sempre più in basso, mentre il maggiore rimane a casa, ma anch’egli ha una relazione immatura con il Padre; infatti, quando il fratello ritorna, il maggiore non è felice come lo è, invece, il Padre, anzi, si arrabbia e non vuole rientrare in casa. I due figli rappresentano due modi immaturi di rapportarsi con Dio: la ribellione e una obbedienza infantile. Entrambe queste forme si superano attraverso l’esperienza della misericordia. Solo sperimentando il perdono, riconoscendosi amati di un amore gratuito, più grande della nostra miseria, ma anche della nostra giustizia, entriamo finalmente in un rapporto veramente filiale e libero con Dio.
Cari amici, meditiamo questa parabola. Rispecchiamoci nei due figli, e soprattutto contempliamo il cuore del Padre. Gettiamoci tra le sue braccia e lasciamoci rigenerare dal suo amore misericordioso. Ci aiuti in questo la Vergine Maria, Mater misericordiae.


Benedetto XVI, Angelus del 14-04-2010