Buona Pasqua, amici miei! Buona Pasqua a tutti!
Molte volte, in questi giorni, ascolteremo e diremo: Cristo è risorto! È veramente risorto! E l’annuncio della risurrezione di Cristo, così come è giunto sino a noi, continuerà ad essere trasmesso “di bocca in bocca” per sostenere la fede, alimentare la speranza, sollecitare l’amore.
Noi crediamo che Cristo è davvero risorto perché “se Cristo non è risorto, ci ricorda san Paolo, vuota è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede” (Prima lettera ai Corinzi, capitolo 15, versetto 14). E vogliamo che la nostra fede nella risurrezione di Cristo si manifesti nelle parole e nella vita.
In una meditazione mattutina a Santa Marta, in Vaticano, papa Francesco ha parlato dei “tanti cristiani senza risurrezione”, dei “cristiani senza il Cristo risorto”, di quelli che accompagnano Gesù fino alla tomba, piangono, gli vogliono bene, ma non vanno oltre. Sono i “timorosi”, quelli che hanno paura della risurrezione, che si spaventano perché pensano di vedere un fantasma; sono i “vergognosi, per i quali confessare che Cristo è risorto dà un po’ di vergogna in questo mondo tanto avanti nelle scienze”; sono i “trionfalistici”, che “non credono nel risorto e vogliono fare loro una risurrezione più maestosa di quella di Gesù” (10 settembre 2013).
Annunciare che Cristo è risorto, senza paura senza vergogna e senza trionfalismi, è la “buona notizia” che dobbiamo trasmettere a tutti coloro che camminano con noi lungo il sentiero della vita. E questo non è compito di alcuni, ma della Chiesa, cioè di tutti noi. Alla chiesa in Asia Giovanni Paolo II disse che “l’evangelizzazione, come gioiosa, paziente e progressiva predicazione della morte salvifica e della risurrezione di Gesù Cristo, deve essere la vostra priorità assoluta”. E papa Francesco ha aggiunto: “Questo vale per tutti” (Papa Francesco, La gioia del Vangelo, 24.11.2013, n. 110).
Annunciare che Cristo è risorto vuol dire immettere nel mondo “germi di risurrezione capaci di rendere buona la vita, di superare il ripiegamento su di sé, la frammentazione e il vuoto di senso che affliggono la nostra società” (Conferenza episcopale italiana, Educare alla vita buona del Vangelo, 4.10.2010, n. 6).
Pasqua a New York è una poesia di Blaise Cendrars, uomo dalla vita “movimentata”, romanziere, poeta, sceneggiatore, nato in Svizzera nel 1887 e morto a Parigi nel 1961. È un testo duro, amaro, triste, ondeggiante tra scetticismo, disperazione, preghiera e supplica. In giro per New York, “la schiena curva, lo spirito in delirio, il cuore rattrappito”, dialoga col Signore, mentre ricorda opere d’arte sulla passione. “Stasera, tuttavia, penso a Te con terrore. / La mia anima è una vedova in lutto ai piedi della Croce; / La mia anima è una vedova in nero, – è tua Madre / Come l’ha dipinta Carrière, senza lacrime né speranza”. Passa in mezzo a ladri, vagabondi, ricettatori, prostitute e poveri. Vede greci, spagnoli, italiani, russi, bulgari, mongoli, persiani, sbarcati da neri battelli: “sono bestie da circo che saltano i meridiani. / Si getta loro un pezzo di carne nera, come ai cani”. E mentre cammina, chiede: “Fa’, Signore, che il mio viso là tra le mie mani / lasci cadere la maschera d’angoscia che mi preme. / Fa’, Signore, che le mie mani passate sulla bocca / non si lecchino la schiuma di una disperazione cupa”. Alla fine, solo, stanco e malato, rientra nella sua camera d’albergo “nuda come una tomba”: “Penso, Signore, alle mie ore più brutte. / Penso, Signore, alle mie ore già andate. / Non penso più a Te. Non penso più a Te”. Ma poco prima aveva detto: “Signore, chiudo gli occhi e batto i denti. / Io sono troppo solo. Ho freddo. Ti invoco”.
Quale Pasqua vive Cendrars e le persone che egli incontra nel suo girovagare per New York? Quale Pasqua vivono tanti uomini e tante donne che noi conosciamo e che sperimentano solitudine, malattia, tristezza e angoscia? Annunciare che Cristo è risorto esige l’impegno concreto perché tutti gli uomini possano vivere nella libertà e nella pace e, nella sofferenza, sperimentare la vicinanza e la solidarietà degli altri. Vi auguro “Buona Pasqua”, invitandovi a riflettere sulle parole sempre luminose di papa Benedetto: “Saremo davvero e fino in fondo testimoni di Gesù risorto quando lasceremo trasparire in noi il prodigio del suo amore; quando nelle nostre parole e, più ancora, nei nostri gesti, in piena coerenza con il Vangelo, si potrà riconoscere la voce e la mano di Gesù stesso” (Catechesi all’udienza generale, 7.4.2010).
Con tanto affetto
Paolo, vescovo