Buon Natale, amici miei.
Buon Natale a tutti. Mentre vi rivolgo questo sincero e affettuoso augurio, penso a ciò che accade nel nostro piccolo e grande mondo e mi chiedo: qual è oggi, nel tessuto della nostra vita, la “ricaduta” dell’avvenimento che ha cambiato la storia degli uomini. A Natale, si dice, si è più buoni! Ma è veramente così? Si può essere buoni solo a Natale? Al di là della facile retorica e di un buonismo superficiale e vuoto, la celebrazione del Natale esige un reale e duraturo cambiamento di vita. Nei giorni scorsi ho riletto “Un canto di Natale” di Charles Dickens (a cura di Marisa Sestito, Marsilio, 2005) e mi piace riportarvi lo scambio di battute tra Elbenezer Scrooge, il protagonista del racconto, e suo nipote: “Felice, Natale, zio! Dio ti protegga!... Bah!, disse Scrooge, Fesserie! Natale una fesseria, zio!... Non lo pensi davvero, ne sono sicuro. Sì che lo penso... Felice Natale! che diritto hai tu di essere felice? che ragione hai tu di essere felice, da quel povero diavolo che sei? E allora dimmi, gli rispose allegramente il nipote. Che diritto hai tu di essere cupo? Che ragione hai tu di essere scontento, ricco come sei?... Non essere di malumore, zio... Come posso non esserlo, ... se vivo in un mondo di scemi? Felice Natale! Bella roba! Cos’è il Natale per te, se non il tempo in cui devi pagare i conti senza avere i quattrini; il tempo in cui ti ritrovi più vecchio di un anno e neanche di un’ora più ricco; il tempo in cui devi fare il bilancio e dopo dodici mesi tutte le voci nei tuoi libri contabili ti si presentano in passivo?...” (pp. 53.55). Scrooge è un uomo “duro e tagliente come una selce da cui mai acciaio aveva tratto generoso fuoco; chiuso, circospetto, solitario come un’ostrica. Il freddo che aveva dentro congelava la vecchia faccia, affilava il naso appuntito, avvizziva le guance, irrigidiva il passo; arrossava gli occhi, illividiva le labbra sottili e fuoriusciva bruscamente nella voce aspra...” (p. 49).
Ma, poi, durante la notte di Natale, nel drammatico incontro con gli spiriti del suo Natale passato, presente e futuro, comprende che l’avidità lo sta distruggendo, isolandolo sempre più da tutti e suscitando attorno a sé ironia e rancore. Decide, quindi, di cambiare vita, da subito e radicalmente, compiendo gesti di attenzione e di amore e ristabilendo relazioni serene e affettuose. “L’opinione generale fu che se vi era uomo al mondo capace di celebrare degnamente il Natale, quello era lui”. E il narratore annota: “Che questo si possa dire spassionatamente di noi, di tutti noi! (p. 229). Se noi, amici miei, vogliamo “celebrare degnamente il Natale”, dobbiamo: - accogliere, a cuore aperto, Dio che si fa bambino e viene nel mondo per stare con noi; - condividere questo amore con le persone che il Signore mette sulla nostra strada; - riconoscere, come cantiamo con Zaccaria, il padre di Giovanni Battista, che “su quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte” è sorto un sole che risplende e guida su sentieri di pace (cfr. Vangelo di Luca, capitolo 1, versetti 78-79); - lasciarci illuminare e rivestirci della luce per diradare le tenebre sul nostro cammino e su quello dei nostri compagni di viaggio. Nel Bambino nato a Betlemme “era la vita, ci dice S. Giovanni, e la vita era la luce degli uomini... la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Vangelo secondo Giovanni, capitolo 1, versetti 4 e 9); - diffondere la certezza che il Signore ci offre sempre una ulteriore possibilità di riscatto e che è possibile dare una svolta alla nostra vita, abbandonando chiusure ed egoismi. Nella parte conclusiva del racconto che vi ho citato, il narratore riferisce che “alcuni risero” nel vedere Scrooge così cambiato, ma Scrooge “li lasciò ridere e non se ne curò; poiché era saggio abbastanza da sapere che su questa terra non accadeva mai nulla di definitivo” (p. 229). Fidiamoci del Bambino. E se glielo chiediamo col cuore, e non solo con le labbra, sarà felice di “darci una mano” per cambiare vita e “celebrare degnamente il Natale”. Nelle vostre preghiere non dimenticate il seminario. Pregate per i nostri sette seminaristi, sei a Ragusa e uno a Pavia, e per i loro formatori. E pregate anche per me e per la nostra Chiesa. Buon Natale, amici miei. Buon Natale a tutti. E, come osserva Timmy alla fine del racconto, “Dio ci benedica, benedica ognuno di noi!” (p. 229).
Ragusa, Natale 2013
+ Paolo Urso, vescovo
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