Beato Giacomo Alberione


Nasce nel 1884 da contadini piemontesi; a dodici anni entra in seminario e nel 1907 verrà ordinato sacerdote. Studia tantissimo, perché vuole essere preparato in tutto e con il tempo Giacomo Alberione darà vita a una novità mai vista nella Chiesa: uomini e donne che prenderanno i voti per dedicarsi alla comunicazione religiosa, con i metodi e gli strumenti che il tempo richiede. Così i paolini, futuri editori nel mondo, nascono in segreto ad Alba col nome di “Scuola tipografica Piccolo Operaio” e successivamente “Pia Società San Paolo”. Ecco, però, che arriva la guerra e con essa arrivano le dolorose asprezze nel clero. Il sogno, però, inizia a concretizzarsi quando, negli anni trenta la società San Paolo ha ricevuto le prime approvazioni da papa Pio XI, il papa della radio e delle missioni. I ragazzi che seguono don Alberione partono per l’Africa, l’America, l’Asia. Nel 1931 egli impegna i suoi in un’altra avventura: in Italia, ad Alba. Alla vigilia di Natale fa uscire in diciottomila copie il primo numero di “Famiglia Cristiana”, indicando lui i contenuti: “Deve essere il giornale di tutta la famiglia”. Nei primi anni sessanta, i suoi Paolini e le Figlie di San Paolo hanno venduto più di un milione di copie delle “Bibbie da mille lire”, inventate da lui stesso.
Muore a Roma nel 1971 e Giovanni Paolo II lo proclama beato nel 2003.

Piano pastorale 2012/13

Analisi dei bisogni emersi


* Bisogno di conversione continua imparando a pregare con la Parola affinché diventi nutrimento della nostra fede e sorgente di carità operosa;
* bisogno di stabilire con la Parola un rapporto tale che ci aiuti a fare verità dentro di noi liberandoci da falsità, atteggiamenti ipocriti e ambigui che, spesso, inquinano le relazioni personali con Dio e con i fratelli;
* bisogno di sapersi accogliere tra i membri della comunità e farsi capaci di accogliere coloro che frequentano solo la messa domenicale, nonché  tutti i cosiddetti  “lontani”;
* bisogno di favorire  una rete di rapporti tra le varie realtà.

Strumenti da utilizzare

* Organizzare momenti di fraternità per tutti, specie in momenti particolari (Natale, carnevale, periodo pasquale);
* organizzare gite e/o pellegrinaggi;
* attenzionare con discrezione persone sole, ammalate, anziane e famiglie in difficoltà economiche e /o in lutto;
* potenziare le energie della S. Vincenzo parrocchiale;
* attivare uno sportello “ascolto” settimanale;
* attivare incontri quindicinali di catechesi per gli adulti.

Obiettivi da raggiungere

* Approfondire e migliorare il rapporto con la Parola a livello personale e comunitario, non solo come conoscenza e studio, ma soprattutto come ascolto di Dio Via, Verità e Vita;
* contribuire a sviluppare un clima di correzione fraterna nell’esercizio delle virtù umane e cristiane, in famiglia e in comunità, per favorire l’opera della grazia;
* diventare comunità che si accoglie all’interno e che accoglie tutti, in particolare gli ultimi;
* agire in sinergia tra  i gruppi, nella realizzazione degli obiettivi e nel rispetto dello specifico di ciascuna realtà.

                                                                                            Il  Parroco
 Comiso, 6 novembre 2012                                                                                            don Enzo Barrano

San Martino di Tours


Nato nel 317 da genitori pagani in   Ungheria, Martino trascorre l’infanzia  a Pavia. Lì matura la sua sensibilità religiosa; contro il parere dei genitori, a dodici anni chiede di essere ammesso al catecumenato, ma dovranno passare sei anni prima che possa ricevere il battesimo. A quindici anni è costretto ad arruolarsi nell’esercito, dove ben presto si distingue per le sue virtù. Il celebre episodio del mantello tagliato a metà e condiviso con un mendicante e la successiva visione di Cristo apparsogli avvolto proprio in quel pezzo di mantello da lui donato al povero, sono per Martino il segnale della sua chiamata a passare da soldato dell’imperatore a soldato di Cristo. Infatti nel 356 egli lascerà l’esercito e seguirà la scuola di Ilario, vescovo di Poitiers. Rientra nel suo paese e converte la madre al cristianesimo, ma trova l’astio degli ariani che presto lo cacciano. Si rifugia poi vicino Milano per fare un’esperienza di vita ascetica, ma anche da qui è costretto a scappare e più tardi fonderà un monastero non lontano da Tours: città di cui era stato eletto vescovo  nel 371. Spesso ostacolato, Martino persegue con saggezza i suoi propositi, col solo scopo di assicurare il bene della Chiesa che gli era stata affidata e si distingue sempre per l’esempio di una vita di preghiera,   penitenza e ascesi, spogliata di ogni incrostazione di potere e privilegio, come si conviene a chi cerca Dio.

L'anno della fede


L’11 ottobre è iniziato l’anno della fede. Quest’anno vogliamo “lasciarci interpellare ancora e per tante volte da Gesù nello stesso modo e con le stesse parole: «Voi, chi dite che io sia?». Dovremmo anche noi rispondere come i discepoli: «Tu sei il Cristo!». Insomma, da quella domanda iniziale di Gesù e dalla decisa risposta di Simone, sarà necessario lasciarsi guidare per un anno. Sembra poco, ma non lo è.
Quella domanda, infatti, ne veicola altre che dobbiamo porre con sincerità a noi stessi: credo in Cristo? Credo nella sua esistenza storica e nella sua resurrezione? Credo che egli sia venuto da Dio per essere Dio insieme a noi? Credo che la sua parola è Parola di Dio che porta con sé la risposta alle domande sul senso della vita? Credo che nulla di più bello poteva capitarmi che divenire cristiano?
E ancora: credendo questo, la mia vita è più sicura? È più equilibrata?  È più consapevole del suo senso? Vive meglio il dolore? È una vita che spera? È una speranza che si vede? È una speranza che contagia? Se il mio corpo, come di fatto avviene, può invecchiare o perdere un po’ di salute, è forse accaduto qualcosa di simile alla mia fede? È ancora capace di costruire un organismo nel quale siano vive difese immunitarie? È ancora così energica da rimandare al mittente tutte le lettere esplosive  che mi arrivano dai non pochi nemici della fede stessa, uno dei quali è sicuramente la pigrizia?
Il Santo Padre, Benedetto XVI, nella Lettera apostolica con la quale indice l’anno della fede, “Porta fidei”, scrive: «Desideriamo che questo Anno susciti in ogni credente l’aspirazione a confessare la fede in pienezza e con rinnovata convinzione, con fiducia e speranza. Sarà un’occasione propizia anche per intensificare la celebrazione della fede nella liturgia, e in particolare nell’eucarestia, che è “il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutta la sua energia”. Nel contempo auspichiamo che la testimonianza di vita dei credenti cresca nella sua credibilità. Riscoprire i contenuti della fede professata, celebrata, vissuta e pregata, e riflette sullo stesso atto con cui si crede, è un impegno che ogni credente deve fare proprio, soprattutto in questo anno» (n. 9)

(tratto da "L’anno della fede”, 
Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione)     

Vai al sito ufficiale dell'anno della fede                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                             

Chi sono io?


Sul frontone del tempio di Delfi, nell’antica Grecia, c’era scritto: “Conosci te stesso”. Da sempre questo è stato l’imperativo dell’uomo. “Chi sono io?” è, infatti, una domanda che ogni uomo si pone almeno una volta nella vita.
È però nell’adolescenza che questa domanda si fa più forte e la ricerca di se stessi diventa un obiettivo primario. Proviamo allora a dare una risposta.
Iniziamo innanzitutto a dire che siamo degli esseri umani. Siamo uomini e non animali. E sapete qual è la differenza?....Che l’uomo è un essere composto da anima e corpo: grazie al nostro corpo infatti noi ci muoviamo, sentiamo, agiamo, grazie alla nostra anima invece noi pensiamo, proviamo dei sentimenti, scegliamo.
Quando sta per nascere un bambino tutti i parenti dicono: a chi somiglierà? C’è chi dirà al padre, chi alla madre. Ma una cosa è certa: somiglierà a Dio. In Genesi 1,27 sta scritto infatti: “E Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza". Dunque siamo immagine  di Dio. Che grande notizia!
Inoltre si racconta che Dio, dopo averci creato, ha buttato via lo stampino: non siamo stati fatti in serie, poiché ognuno di noi è un essere unico e irripetibile. Unico perché non esiste sulla faccia della terra un altro come me, ognuno ha la sua originalità, la sua propria personalità. Irripetibile, perché non nascerà mai, né è mai nato un altro uguale a me. Ci sono io solo, con i miei pregi e i miei difetti, questa è la mia storia e di nessun altro e solo io posso decidere come viverla.
In definitiva, ognuno di noi è un mistero. Tu sei come un pozzo senza fondo, dal quale puoi tirare fuori tante cose inaspettate, talenti, doni, qualità, insieme anche ad alcuni aspetti negativi del tuo carattere. Ci sono cose che già conosci di te, ci sono cose che invece non hai ancora scoperto.
Si racconta che un giorno un ragazzino, un certo Bartolomeo Garelli, giunse all’oratorio di Don Bosco, allora il santo gli chiese se sapeva fare qualcosa, provò con una serie di domande, ma ad ogni domanda la risposta era negativa, alla fine gli chiese: “Sai fischiare?”. “Quello sì” rispose il ragazzo e il suo volto si illuminò.
Non c’è nessuno che non sappia fare nulla. Tutti sappiamo fare qualcosa, fosse anche saper fischiare. Se credi di non saper fare niente, basta solo che ti metti in ricerca e troverai di certo qualche tuo talento.
Ti indico tre strade che puoi percorrere per conoscerti meglio:
1) Guarda dentro di te: cosa ti piace fare? Cosa sai fare? Quali sono i tuoi interessi? Sperimentati, saggia le tu forze, scoprirai capacità inaspettate!
2) Guarda agli altri, fatti aiutare da loro. Gli altri come uno specchio, ci rimandano l’immagine di noi stessi, ci mostrano qualcosa sulla nostra identità, mettendo in luce aspetti di noi che non conoscevamo. Gli amici, i genitori, gli insegnanti, gli educatori sono una risorsa importantissima per conoscerci meglio.
3) Guarda a Dio: è Lui che ti rivela la tua identità più profonda. É lui che ti ha creato e ti conosce più di nessun altro. É lui che sa tirare fuori dal tuo cuore potenzialità di bene che tu non oseresti immaginare.
È fondamentale dunque, alla tua età imparare a conoscere te stesso. Se ci conosciamo a fondo sappiamo anche metterci in relazione con gli altri e con il mondo che ci circonda. Chi si conosce non ha paura di nulla, poiché sa quali sono i suoi limiti e le sue potenzialità.
Per fare questo lavoro però bisogna avere un pizzico di coraggio per guardarsi dentro e scoprire tutto di noi, sia le cose che ci piacciono sia quelle che ci piacciono di meno. Il più grande viaggio che nella vita possiamo compiere è quello dentro noi stessi. Conoscere sé stessi è un’avventura fantastica che vale la pena di vivere.
Buon lavoro!

Davide Mezzasalma

La commemorazione dei defunti



La speranza cristiana trova fondamento nella Bibbia, nella invincibile misericordia di Dio. «Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!», esclama Giobbe nel mezzo della sua tormentata vicenda. Non è dunque la dissoluzione nella polvere il destino finale dell’uomo, bensì, attraversata la tenebra della morte, la visione di Dio. Per questo i fedeli pregano per i loro defunti e confidano nella loro intercessione. Nutrono infine la speranza di raggiungerli in cielo per unirsi gli eletti nella lode della gloria di Dio.
La Chiesa è stata sempre particolarmente fedele al ricordo dei defunti. Nella professione di fede del cristiano affermiamo: “Credo nella santa Chiesa cattolica, nella comunione dei Santi…”. Per “comunione dei santi” la Chiesa intende l’insieme e la vita d’assieme di tutti i credenti in Cristo, sia quelli che operano ancora sulla terra sia quelli che vivono nell’altra vita in Paradiso ed in Purgatorio. Dalla comunione dei santi nasce l’interscambio di aiuto reciproco tra i credenti in cammino sulla terra e i credenti viventi nell’aldilà, sia nel Purgatorio che nel Paradiso. La Chiesa, inoltre, in nome della stessa figliolanza  di Dio e, quindi, fratellanza in Gesù Cristo, favorisce questi rapporti e stabilisce anche dei momenti forti durante l’anno liturgico. Il 2 Novembre, infatti, è il giorno dedicato alla commemorazione dei defunti.
Questa festa ebbe origine in Francia all’inizio del X secolo. Nel convento di Cluny viveva un santo monaco, l’abate Odilone, che era molto devoto delle anime del Purgatorio, al punto che tutte le sue preghiere, sofferenze, penitenze e messe venivano applicate per la loro liberazione dal purgatorio. Si dice che uno dei suoi confratelli, di ritorno dalla Terra Santa, gli raccontò di essere stato scaraventato da una tempesta sulla costa della Sicilia; lì incontrò un eremita, il quale gli raccontò che spesso aveva udito le grida e le voci dolenti delle anime purganti provenienti da una grotta insieme a quelle dei demoni che gridavano contro l’abate Odilone. Costui, all’udire queste parole, ordinò a tutti i monaci del suo ordine di fissare il 2 novembre come giorno solenne per la commemorazione dei defunti. Era l’anno 928 d.C. Da allora, ogni anno la “festa” dei morti viene celebrata in questo giorno.
Da allora quel giorno rappresenta per tutti una sosta nella vita per ricordare con una certa nostalgia il passato, vissuto con i nostri cari che il tempo e la morte han portato via. La certezza della morte deve farci riflettere, affinché possiamo essere pronti all’incontro con essa senza alcuna paura. Del resto il pensiero della morte ritorna ogni volta che ci rivolgiamo alla Madonna con la preghiera del Rosario: “…. prega per noi, adesso e nell’ora della nostra morte”. Si dice che la morte sia spaventosa: ma non è tanto la morte in sé a terrorizzarci, quanto piuttosto l’atto del morire ed il giudizio susseguente di dannazione o di salvezza eterna.
É, infatti, il terrore di un attimo e non dell’eternità a spaventarci. Dunque sorgono molte domande: come sarà quel momento? Quanto durerà? Chi mi assisterà? Sarò solo? Dove sarò? In casa, per strada, al lavoro, mentre prego? Quando mi sorprenderà? Il pensiero di trovarsi soli, faccia a faccia con la morte, può produrre disagio e paura mentre si è in vita. Eppure per i veri cristiani non dovrebbe essere così: la morte, se vista nella luce di Dio, diventa un dolce incontro non un tramonto, l’alba bellissima della vita eterna con Dio insieme agli angeli e ai santi che ci hanno preceduto in terra.
Antonio Cilia