Vocazione: l'amore finito risponde all'Amore infinito


Cerchiamo di infrangere il “tabù” che sta dietro la parola vocazione, che spesso, tra noi giovani specialmente, suscita paura, indifferenza o addirittura vana ironia; non rendendoci conto che proprio in essa sta, in toto, il senso della nostra vita.

È vivendo in essa che possiamo raggiungere il massimo delle nostre potenzialità e della nostra capacità di dono.

Ma cosa vuol dire la parola   vocazione?
Essa è una parola che deriva dal latino e vuol dire “chiamata”. È Dio che chiama l’uomo: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” (Gv15,16), disse Gesù ai suoi Apostoli, e lo chiama per nome come fece con Abramo, Mosè, Samuele, ecc.
Stiamo attenti che non si tratta assolutamente di un caso!
Dio chiama con un invito personale e unico, rivolto alla coscienza più profonda del suo essere, un invito che cambia il senso stesso dell’esistenza del chiamato.
Però all’individuo, che come sappiamo bene ha la libertà di figlio di Dio, spetta il compito di rispondere all’appello che Dio gli ha rivolto.
Perché rispondere il proprio “SI” alla chiamata di Dio, anche se può costare rinunce e sacrifici?
Solamente chi “centra la propria vocazione” e, quindi, chi si piega alla volontà di Dio realizza a pieno la propria vita, spendendola per l’obiettivo per cui è stato creato; e, così facendo, finalmente può dare una risposta a quel famoso quesito esistenziale che l’uomo, fin dalle origini, si è domandato: il perché siamo nel mondo.
Sicuramente la chiamata di Dio implica delle rinunce fatte per quell’Amore che man mano in un chiamato fa irruzione nella sua vita: di cose: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quanto hai e dallo ai poveri…, poi vieni e seguimi!” (Mt 19,21); di persone: “Chi ama il padre o la madre più di me, o la sorella o il fratello più di me, non è degno di me” (Mt 10,37).
E perfino la propria vita. “Se uno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16,24).
Ragazzi non lasciamoci prendere dal panico o dallo scoraggiamento, perché anzitutto per amore si può e si fa tutto e inoltre non dimentichiamo la promessa che Gesù fece agli Apostoli e a ciascuno di noi “Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre… per il mio nome riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna” (Mt 19,29).
Inoltre la chiamata implica un fidarsi totalmente di Dio e della sua Parola: una fiducia piena e incondizionata, perché come recita il salmista “Dio solo è mio rifugio e mia fortezza”.
Oggi il Signore chiede alla nostra comunità di pregare tanto, affinché il Padrone della messe mandi operai santi e santificatori a lavorare nella sua messe.
A buon esito di quanto chiediamo, imploro che ci soccorra l’intercessione della beata vergine Maria, madre del buon Pastore, che sempre è amorevolmente presente nella chiamata e nel sostegno dei chiamati: con Lei non manca mai il vino della grazia e dello Spirito Santo.   
                                                                                                     
  Antonio Giudice  

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